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ORGULLOSAMENTE HISPANOHABLANTES

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lunes, 28 de noviembre de 2022

EXPECTACIÓN DEL MESÍAS ENTRE JUDÍOS Y PAGANOS


La luz natural del intelecto y la luz sobrenatural de la gracia concuerdan y se confirman mutuamente: hay un Dios trascendente y este Dios es el Dios cristiano, revelado según el Magisterio de la Iglesia Católica.
  
La prueba racional es simple y clara: si el más no viene del menos, es necesario un Ser subsistente por sí mismo que de el ser a todo lo que de suyo no lo tendría, o sea, lo creado. Este simple principio es bien explicado en el volumen DIOS accesible a todos. Prueba de su existencia que resume todas las otras – EL MÁS NO VIENE DEL MENOS del gran dominico francés (y docente neotomista célebre en todo el mundo) Reinaldo Garrigou-Lagrange. Una demostración sencilla y directa, clara como la luz del Sol.
  
Pero llegados a este punto se está solo a mitad de camino. Sí: Dios existe, estamos seguros, ¿pero a cuál revelación debemos confiarnos? ¿Cuál religión debemos tener como verdadera?
  
Será fácil a este punto entender que el Cristianismo, Maestro de Sociedad, es la única y Religión verdadera. Esto lo dice la Fe que se apoya sobre la autoridad de Dios mismo que se ha revelado en forma inequívoca en los Libros Sagrados. Hablamos de aquel imponente milagro intelectual que fue y es el cumplimiento de las profecías del Antiguo Testamento en el Nuevo y las del Nuevo en la época siguiente. Yendo obviamente más allá del ámbito natural. El Cristianismo es un “clarísimo misterio” por el cual legiones de mártires han dado su vida y que, al son de milagros concretísimos, ha convertido al mundo, contra todo y contra todos.
   
A este propósito una demostración fácil de la verdad cristiana se tiene gracias al libro Breve Apologia del Cristianesimo. Contro gli increduli dei nostri giorni del cual se pueden ofrecer dos assaggi tomados de sus páginas: el primero sobre la realización de la Ley Antigua en la Nueva, y el segundo sobre la prodigiosa difusión de la Fe Cristiana.
  
He aquí el primero, tomado del Capítulo 20 (subcapítulos 6-8):
6. Cuadro que los profetas dan del Mesías y de su obra
Dopo Davide, Isaia e gli altri profeti compiono il quadro della vita del Messia, anticipandone la storia. Isaia[i] predice che nascerà da una vergine della casa di Davide (7, 14 e 9, 1): che sarà «l’Ammirabile, il Consigliere, Dio, il Forte, il Padre del futuro secolo, il Principe della pace» (9, 6): che lo spirito del Signore scenderà in lui con tutti i suoi doni (11, 2): che darà la vista ai ciechi, l’udito ai sordi, ai muti la favella, raddrizzerà gli storpi e farà altri miracoli (35, 5): che farà sorgere un regno spirituale ed universale, in luogo dell’antico patto, al tutto nazionale, che verrà abolito (2, 2-6). E addita persino il precursore che lo dovrà annunciare (40, 3), nonché l’accecamento e la ribellione del popolo ebreo del quale dice: «Per voi ogni visione (cioè di tutte le profezie) sarà come le parole di un libro sigillato» (Is. 29, 11).
Geremia predice il futuro Messia come discendente dalla casa di Davide, non per opera d’uomo ma di Dio, e proclama, meravigliato, il grande prodigio, che una donna diverrà madre per virtù dell’Altissimo: «Poiché il Signore crea una cosa nuova sulla terra: la donna cingerà l’uomo!» (Ger. 31,22). Presenta il figlio di questa donna come il figlio stesso di Dio, poiché lo chiama col nome di Jahve, con cui gli Ebrei indicavano Dio ed a cui la Volgata sostituisce Dominus: «Così sarà chiamata: Signore-nostra-giustizia» (Ger. 33,16). Predice la strage degli innocenti che avverrà in Betlemme a cagione della sua nascita (31, 15); ed annunzia la nuova alleanza che sarà inaugurata, additando i caratteri di questo novum foedus in contrapposizione all’antico (31, 31 e 4).
7. Tiempo y lugar en el cual deberá nacer
Con Daniele si fissa l’epoca precisa della venuta del Messia ed insieme se ne descrivono gli avvenimenti che l’accompagneranno. Predice che fra breve gli Ebrei, allora schiavi in Babilonia, saranno liberati e potranno rimpatriare: che dopo settanta settimane di anni (490 anni) da quel giorno in cui sarà concesso il decreto di rimpatriare, verrà il Cristo e sarà messo a morte: che il tempio e la città santa saranno distrutti da un esercito straniero, e che lo stesso popolo ebreo andrà disperso sulla faccia della terra (9, 22-27).
Michea (5, 2) poi predice il luogo in cui nascerà il Messia: «Tu, o Betlemme, sei piccola fra le città di Giuda, ma da te uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele e la generazione di lui è da principio, dai giorni dell’eternità».
Infine Aggeo (2, 8) e Malachia (3, 1) aggiungono che il Messia verrà a visitare il tempio riedificato sotto Zerobabele, onde la gloria di questo tempio sarà maggiore di quella del primo.
Qui si arrestano le profezie messianiche – a 500 anni circa di distanza da Cristo – perché tutto era predetto e non si aspettava che il compimento.
8. Lo que resulta de cierto frente a todas las dificultades
Tale in sintesi la promessa messianica quale risulta dai libri dell’A. Testamento.
Si potrà discutere, come infatti si discute anche fra i cattolici, sulla data precisa delle singole profezie, sul significato particolare di questo o quel vaticinio in relazione alle circostanze che l’accompagnano. In tanta lontananza di tempi, diversità di lingue, complessità di avvenimenti, ciò è più che naturale[ii]; come, del resto, avviene di tutti i documenti antichi, anche più autentici della storia. Ma negare il fatto della promessa messianica, specialmente se le profezie messianiche si considerino in tutto il loro complesso, negare che le profezie messianiche precedano almeno di alcuni secoli il Cristianesimo; negare la verità storica di queste profezie quali si trovano nei Libri sacri dell’A. Testamento, e ricorrere alla interpolazione o alla leggenda, ciò non riuscirà mai e poi mai a nessun incredulo.
Senza richiamare qui ad esame le varie ipotesi dei razionalisti, basti ricordare un solo fatto che taglia corto a tutti i loro sofismi. «300 anni prima di Cristo si fece una versione greca di tutti i Libri dell’A. Testamento e si fece in Egitto e si disse Alessandrina. Quella versione greca si sparse in tutti i paesi dove erano Ebrei (e ve n’erano in tutto l’Oriente e non pochi anche in Occidente) e dove si conosceva la lingua greca. In quella versione, usata dagli Ebrei ellenisti e non ellenisti e dai cristiani, vi sono precisamente le profezie come nel testo ebraico. Alterare tutti quegli esemplari ebraici e greci era impossibile: dunque noi abbiamo l’assoluta certezza che le profezie delle quali qui ci occupiamo, esistevano come esistono oggi, almeno 300 anni prima di Cristo»[iii].
  
Ed ecco il secondo assaggio sulla diffusione della Fede Cristiana, dalla nota 57 nel capitolo 12:
Resta a spiegarsi come questi gonzi o questi furbi siano stati sì pazzi da lasciarsi lapidare, scorticare, crocifiggere, decapitare; come abbiano avuta tanta abilità da ingannare la più sagace e dotta nazione del mondo, anzi tutto il mondo; come abbiano potuto ammaestrare sì bene i loro primi discepoli, dei quali Ignazio era impaziente di vedersi gettato ai leoni, Policarpo andava lieto verso il rogo, Giustino, Ireneo e Cipriano suggellavano col loro sangue le loro dotte pagine, e Tertulliano scriveva tranquillamente sotto la Scure dei carnefici l’immortale suo Apologetico; come fra gli innumerevoli cristiani, che dopo il II secolo riempivano ogni angolo dell’Impero, fuorché i templi degli Dei, se ne siano trovati più milioni, che per appoggiare l’opera dei gonzi, si siano lasciati sgozzare; come finalmente tale matta impostura abbia avuto tanti sublimi difensori dal primo dei Santi Padri fino ai dì nostri. MARTINET. Solutions des grands probl.
Buona lettura!

[i] Isaia è il più grande dei profeti perché è quegli che più ampiamente e chiaramente predisse del Messia. Cfr. VIGOUROUX, Manuale biblico, Vol. 2, n. 909.
[ii] «Vi sono difficoltà proprie della lingua originale che conosciamo imperfettamente, delle forme, figure, immagini famigliari ai popoli orientali; difficoltà che sorgono dalla mancanza di cognizioni dei luoghi, delle memorie storiche e popolari a cui si fa allusione, degli usi, delle tradizioni, delle credenze, dei fatti, dopo sì lungo tempo travisati o dimenticati […]. Le Profezie furono scritte in varii tempi e luoghi e in diverse circostanze e messe insieme dopo molti anni, quasi fossero un solo libro fatto tutto di seguito. La parte storica è mista con la profetica e con la tipica; il futuro si afferma col presente e col passato, la esortazione con la minaccia e via dicendo. Inoltre, il profeta parlava direttamente al popolo, in mezzo al quale viveva; parlava il suo linguaggio, l’avrà illustrato a voce, o col gesto, o si chiariva da sé nelle condizioni speciali in cui si trovavano popolo e profeta; ma ora, a noi, dopo tanti secoli, a noi educati in altri paesi e con altri metodi, ciò che allora era facile a intendersi, riesce oscuro. Non nego dunque che il senso di molte profezie posso essere involuto, oscuro, incerto e perciò incerta la prova che se ne deduce ma ve ne sono, e molte, chiarissime; a queste le oscure non devono né togliere, né menomare la forza. Poi – e qui prego i lettori a porre ben mente alla cosa – allorché io metto innanzi l’argomento delle profezie, non le considero ad una ad una separatamente: io le piglio tutte nel loro insieme, e considerate nel loro complesso, la prova è irrepugnabile». Mons. BONOMELLI, Gesù Cristo Dio-Uomo, pag. 172-173, Milano, Cogliati, 1898.
[iii] Mons. BONOMELLI, op. cit., pag. 166. La traducción Alejandrina o de los Setenta fue verdaderamente providencial, porque después de la venida del Salvador, los judíos, por odio, habrían podido esconder sus libros, o darlos alterados, o esparcir sospechas sobre la fidelidad de los traductores. Pero antes del suceso, los Libros santos estaban a salvo contra las alteraciones judaicas: donde podemos creer y decir con San Agustín que aquella versión fue un hecho verdaderamente providencial.

Se per quanto riguarda le profezie presso gli ebrei già abbiamo toccato l’argomento con l’articolo «Perché è semplice capire che il Cristianesimo è la sola vera Religione». Volentieri offriamo ai lettori, in relazione all’aspettazione messianica presso i pagani qualche estratto dei capp. 21-22 del capolavoro Breve Apologia del Cristianesimo. Contro gli increduli dei nostri giorni.

L’eco dei vaticini messianici si diffuse pure nel mondo pagano assai prima della venuta di Cristo. Solo dobbiamo qui distinguere un doppio filo conduttore dell’idea messianica presso i Gentili: quello che la deriva dalla primitiva rivelazione tradizionalmente trasmessa alle susseguenti generazioni e quello che la deriva dalle successive rivelazioni fatte al popolo Ebreo. Nel primo caso l’idea messianica si presenta per lo più avvolta nel mito e nella favola, per le gravi alterazioni a cui soggiacque la primitiva rivelazione. In fondo però della mitologia pagana si sente sempre l’eco del pensiero religioso dei primi secoli. È classico a questo proposito il mito di Prometeo come ci viene descritto in Eschilo. Nel secondo caso invece l’idea messianica si presenta assai più chiara e determinata, quale ci vien data appunto dalle nuove rivelazioni fatte al popolo Ebreo[i].
Le conquiste di Alessandro Magno
Ora tre grandi avvenimenti hanno concorso a diffondere l’idea ebraico-messianica presso i popoli gentili: le conquiste di Alessandro Magno – la diaspora o dispersione del popolo Ebreo in tutte le parti del mondo – la traduzione in greco dei libri dell’A. Testamento.
Riguardo al primo avvenimento, scrive il P. Rinieri, che «con la conquista di Alessandro Magno l’ellenismo occupò, si può dire, il mondo intellettuale di tutto l’Oriente. Forse nessuna impresa umana, se si toglie la conquista delle Americhe, fu così feconda di risultati morali, religiosi e politici, come la campagna del grande macedone […]. L’unificazione dell’Oriente con l’Occidente fu l’effetto meraviglioso della sua conquista. Il grande movimento delle idee spinse l’ondata dell’Ellenismo in tutto l’Oriente: filosofia, lettere, arti avanzarono il progresso della civilizzazione e formarono la prima vasta piattaforma sulla quale si sparse il messianesimo, mediante la diaspora prima e poi la versione dei Settanta»[ii].
La diaspora
Fin dalla schiavitù assira e babilonese e specialmente dopo e lotte dei Diadochi, che scoppiarono dopo la morte di Alessandro Magno i Giudei si sparsero quasi su tutta la terra (Atti 2, 9-11), cosicché al tempo di Gesù Cristo era ben difficile trovare una città importante, specialmente se vi fioriva il commercio, dove essi non si trovassero. Molto numerosi erano in Egitto dove Tolomeo Lago ne aveva condotti duecentomila; al tempo di Filone i Giudei in Alessandria formavano i 2/5 della popolazione. Anche Roma possedette una numerosa comunità ebraica dal 63 a. C. Tutti questi Giudei riconoscevano nel Sinedrio di Gerusalemme la loro principale autorità religiosa e si mantenevano in relazione con i correligionari di Palestina per mezzo di pellegrinaggi e con la soddisfazione del tributo per il Tempio[iii]. Ora i Giudei, sparsi così in tutto il mondo, trovarono modo, e per il commercio e per altre relazioni vitali, di far conoscere ai popoli presso cui si trovavano la loro legge e la loro religione[iv]. Essi propriamente non passavano mai alla religione degli Stati nei quali vivevano; anzi attiravano alla loro fede quanti più potevano. Quindi guadagnavano dappertutto degli studiosi e degli ammiratori. Questi costituirono lo stato curioso del proselitismo, che si divideva in due categorie: A) i proseliti della giustizia, che adottavano la religione mosaica e le sue pratiche non esclusa la circoncisione; B) i proseliti della porta, che si fermavano alla professione del monoteismo senza adottare i riti e le pratiche del mosaismo[v].
[…]
Presso i gentili
Ma [come detto] anche presso gli altri popoli esisteva questa aspettazione:
a) in modo vago e confuso, dove appena si conservava l’eco della primitiva rivelazione[ix].
b) più chiaramente, invece, dove all’eco della primitiva rivelazione s’aggiunse quello dei vaticini messianici fatti agli Ebrei. Poiché Dio stesso dispose, come abbiamo già visto, che «gli Egiziani, gli Assiri, i Persiani, i Greci, i Romani s’impadronissero successivamente della Giudea, affinché intendessero tutti le grandi voci del passato e dell’avvenire, la verità delle origini e delle promesse» (Dechamps, Appello e Sfida). Onde lo stesso Svetonio (In Vespas. IV, 3) e lo stesso Tacito (Histor. lib. V, 13) ci parlano di una comune e antica e costante persuasione, secondo la quale l’Oriente risorgerebbe e dalla Giudea verrebbe fuori un conquistatore del mondo. E mettendo in versi latini stupendi il canto greco della Sibilla cumana, Virgilio alla sua volta poetava di un fanciullo misterioso, la cui nascita avrebbe portato sulla terra il regno della giustizia e dato al corso dei secoli un nuovo indirizzo.
Questioni sull’Egloga IV di Virgilio
«L’imperatore Costantino, assistendo al Concilio di Nicea, lesse tradotta in greco la quarta egloga di Virgilio, nella quale questo poeta, inneggiando alla prossima sperata nascita di un fanciullo, pronosticava che con esso sarebbe nato altresì un nuovo ordine di cose; sarebbe cioè ritornata l’età del vergine costume; che da quel fanciullo deriverebbe una nuova progenie donata dal cielo alla terra, onde por termine alla età del ferro, e introdurre nel mondo una nuova età di pace e di oro. Orbene, diceva Costantino, come mai si può spiegar questo pronostico di Virgilio, poeta pagano, se non col dire che egli approfittò delle tradizioni ebraiche, degli scritti delle Sibille e dei letterati alessandrini intorno alla nascita del Redentore del mondo? Contro l’asserto di Costantino insorsero molti dotti, ma i Padri antichi condividevano il giudizio di lui. Ai Padri antichi si unì poi Dante (nel Paradiso), Michelangelo che ne formò uno dei suoi capolavori nella Cappella Sistina; e il Cantù, che dapprima divideva il parere contrario, finì col dichiarare che l’interpretazione data da Costantino e ammessa dai Padri, è l’unica possibile per chi ama la verità»,  così Monsignor Carlo Bertani nel suo libro: Vita di Maria santissima (Monza, Paolini 1902, pag. 75). Sappiamo in qual conto sono tenute queste idee dai critici moderni. In realtà nell’egloga IV di Virgilio non si tratta che del figlio di Pollione. Ma donde trasse il poeta quelle idee che gli applica per celebrarne la nascita? Ecco la questione. E poiché Svetonio (In Vespas. IV, 3) Tacito (Histor. lib. V, 13) ed altri ci parlano di una comune antica e costante persuasione, secondo la quale l’Oriente risorgerebbe e dalla Giudea verrebbe fuori un grande conquistatore del mondo, ben possiamo supporre che a tale credenza attingesse il poeta le sue idee.

[i] Único ejemplo de revelación mesiánica hecha directamente a los gentiles, aunque se debe recordar también a Job, es aquella que se lee en el capítulo XXIV de los Números, esto es, el célebre vaticinio de Balaam. Enviado por Balac, rey de Moab, para maldecir al pueblo hebreo, por tres veces en cambio lo bendijo, a pesar de él mismo y del rey. Y la cuarta vez sumpta parábola profetizó diciendo del Mesías: «Lo veggo, e non ancora, lo contemplo e non da vicino. Una stella si è levata da Giacobbe; e da Israele rampollerà una verga, e trasverbererà ambo i lati di Moab e tutti i figli della rumoreggiante Nazione». Valga decir: surgirá de este pueblo un rey potente, cuya visión me está ante la vista, resplandecerá sobre el universo como un astro y destruirá todos los adversarios de su reino.
[ii] Cfr. Azione Sociale de Bérgamo, agosto de 1912, págs. 175-176.
[iii] Cfr. Manuale di storia ecclesiastica del dr. Marx, traducid por el dr. G. B. Pagnini, Ed. Fior., 1913, vol. 1, pág. 19.
[iv] Y era ciertamente este el fin que tuvo Dios al permitir que Su pueblo fuese continuamente entregado en esclavitud entre los otros pueblos. Tobías lo afirma en su cántico, cuando volviéndose a sus compatriotas les dice: «Per questo Iddio v’ha dispersi fra le genti che non conoscono Iddio, affinché voi raccontiate le Sue meraviglie e facciate loro conoscere come altro Dio onnipotente non havvi fuori di Lui» (Tob. 13, 4).
[v] Cfr. Rinieri, loc. cit.
[vi] No es este el lugar para hablar sobre por qué se le llama traducción de los Setenta y en qué modo se hizo esta versión.
[vii] Mons. BONOMELLI, op. cit., pag. 153-155.
[viii] Heb. 11, 13. Jesús nos asegura que Abrahán deseó ver al Mesías (Cfr. Giov. 8, 56). Jacob morivundo exclama: «Io spero nella tua salvezza, Signore!» (Gén. 49, 18). Y el profeta Isaías nos refiere el deseo y la oración de los justos: «Mandate l’agnello al signore del paese (XVI, 1): Stillate, cieli, dall’alto e le nubi facciano piovere la giustizia; si apra la terra e produca la salvezza e germogli insieme la giustizia. Io, il Signore, ho creato tutto questo». (XLV, 8).
[ix] Ver MONSABRÉ, Introd. al dogma cattolico, vol. I, página 158 y ss.: y Esposizione del dogma cattolico, vol. VI, pág. 212 y ss.

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Jorge Rondón Santos (Editor colaborador)